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Giovanni Battista Crema. Oltre il divisionismo, a cura di Manuel Carrera e Lucio Scardino, Ferrara, Castello Estense, 27 marzo – 29 agosto 2021, tav. 84, p. 207.
Ferrarese di nascita ma romano d’adozione, Giovanni Battista Crema ha lavorato senza sosta per oltre sessant’anni, interpretando la modernità e le contraddizioni del Novecento. Stabilitosi a Napoli all’inizio del secolo, frequenta L’Accademia delle Belle Arti come allievo di Domenico Morelli. È considerato tra i più originali interpreti della tecnica divisionista, linguaggio a cui rimase saldamente legato per tutta la vita. Le opere realizzate tra il 1935 e il 1938 possono essere definite come le più rappresentative della sua maturità artistica, raffigurano il rapporto tormentato e a volte contraddittorio con la modernità.
Quello della guerra, come confermano i brani più drammatici delle sue memorie, era un tema su cui Crema si concentra molto. La riflessione sui temi della furia bellica fa da contraltare a quella sulla duplice valenza dell’ingegno e del progresso, che l’artista ha sempre considerato come un’arma a doppio taglio.
«Abbiamo visto i miracoli della tecnica scientifica che arrivano a compromettere, ormai, l’esistenza medesima del mondo, nella ricerca affannosa dei più spettacolari mezzi di distruzione, ed abbiamo perduto quel senso di fiducia e di sicurezza che rendeva sopportabile la vita»[1].
L’opera qui presentata dal titolo didascalico e rappresentativo XX secolo, è un’amara allegoria di un secolo sconvolto dall’atrocità della guerra e dalla crudeltà dell’uomo e può essere intesa come un vero e proprio “testamento spirituale” dell’artista. Gustavo Brigante Colonna la definisce una «Drammatica rappresentazione della nostra epoca che l’artista ha visto tormentata da guerre, rivoluzioni, lotte furibonde, crudeltà senza nome; e con esse la fine della bontà, della fratellanza, della pietà».