
PIERRE AMÉDÉE MARCEL-BERONNEAU BORDEAUX 1869-LA SEYNE-SUR-MER 1937
SOLD
Provenienza
Studio dell’artista, numero impresso a tampone “1” sul retro;
Italia, collezione privata.
Bibliografia
Explication des ouvrages de peinture, sculpture, architecture, dessin, gravure, lithographie des artistes vivants exposés au Palais des Machines, Paris 1899;
Simbolismo Mistico. Il Salon de La Rose+Croix a Parigi 1892-1897, catalogo della mostra a cura di Vivien Greene (New York, Museo Solomon R. Guggenheim, 30 giugno-4 ottobre 2017; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, 28 ottobre 2017-7 gennaio 2018) Venezia, Peggy Guggenheim Collection;
Vivien Greene, Il Salon de La Rose+Croix. La religione dell’arte, in Simbolismo Mistico. Il Salon de La Rose+Croix a Parigi 1892-1897, catalogo della mostra a cura di Vivien Greene (New York, Museo Solomon R. Guggenheim, 30 giugno-4 ottobre 2017; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, 28 ottobre 2017-7 gennaio 2018) Venezia, Peggy Guggenheim Collection.
Pierre-Amédée Marcel-Béronneau dopo aver frequentato l’École des Beaux-Arts a Bordeaux ottiene nel 1890 una borsa di studio municipale per proseguire gli studi artistici a Parigi, dove inizialmente si iscrive al’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs. Nel 1892 entra all’ École des Beaux-Arts come allievo di Gustave Moreau, dove ha come compagni Henri Evenepoel, Henri Matisse e Georges Rouault. Con quest’ultimo condivide lo studio in Boulevard Montparnasse tra il 1897 e il 1907 circa. È a questa data infatti che il suo domicilio, riportato sui cataloghi delle mostre al Salon des Artistes Français, cui partecipa sin dal 1896, diventa quello di impasse Ronsin 11: il medesimo iscritto sul retro del telaio ovale del nostro dipinto.
Il soggetto simbolista ispirato dal mito di Orfeo è un tema caro a Béronneau sin da quando nel 1897 prese parte, su invito di Gustave Moreau, all’ultimo Salon de la Rose-Croix esponendo Orphée en Enfers,1897, olio su tela, (Marsiglia, Musée des Beaux-Arts).
Il soggetto di Orfeo corrispondeva perfettamente all’ideale mistico che animava i Salons dei Rosa-Croce, promossi tra il 1892 e il 1897 da Joséphin Péladan: in tali mostre di carattere internazionale esponevano artisti simbolisti della statura di Delville, Khnopff, Toorop, Hodler, e divennero il fulcro dell’idealismo spiritualista dell’omonima confraternita, che si proponeva di depurare l’arte dalle scorie del materialismo positivista, assimilando il culto dell’arte alla sacralità della ritualità cattolica, venata però di esoterismo. In questa prospettiva, la figura di Orfeo, che attraverso il suo canto doma le belve e incanta le divinità infernali, incarnava l’ideale dell’artista secondo il credo simbolista ispirato da Baudelaire, ovvero colui che nel tempio della Natura sa cogliere le corrispondenze, penetrando il mistero della vita pulsante attraverso la sua capacità di fondersi come in un sacrificio con essa. Per questo motivo Orfeo è raffigurato dagli artisti come un “martire, salvatore, mediatore tra terra e cielo, archetipo del genio artistico” (cfr. V. Greene 2017). E numerose nell’arte francese erano state le opere che ne avevano esaltato l’ideale tragico, umano e dalla grandezza divina: dall’Orphée di Puvis de Chavannes, 1883, olio su tela, (Parigi, Musée d’Orsay), a Lamentation d’Orphée, 1896, olio su tavola, (Parigi, Musée d’Orsay) del suo allievo Alexandre Séon, a La doleur d’Orphée, 1897, di Léon Printemps, allievo anch’egli come Beronneau di Gustave Moreau.
L’Orfeo della nostra composizione ovale è raffigurato nel momento della disperazione che segue alla scomparsa di Euridice: egli ha abbandonato lo strumento che accompagnava il suo canto, la lira, e giace prostrato al suolo con le braccia tese e aperte, in una posa che contribuisce ad assimilarlo alla figura del Cristo crocifisso, quasi a sottolineare il valore del suo sacrificio, immerso in una Natura che è oramai solo moltiplicata e rifrangente intensità di colore, tra il rosso e l’azzurro accesi e risonanti.
La datazione per la nostra opera andrà probabilmente assegnata tra il 1907 e il 1912.
Proprio all’inizio del 1909 Khali Gibran, il futuro autore de Il Profeta, dedito a quell’epoca a studi di pittura, frequentava da studente l’atelier di Béronneau, intorno a cui si raccoglievano una dozzina di allievi; di lui Gibran affermava: “è un grande artista e un pittore straordinario, oltre che un mistico”.
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