Oreste Raggi, Della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola nella scultura, Firenze 1880, pp. 431-434.
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Alfonso Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Antonio Canova ad Arturo Martini, Borgaro (To) 2003, ad vocem.
Giambattista Lombardi era stato allievo a Brescia dell’architetto Rodolfo Vantini e a Milano nell’ornato di Lorenzo Vela, fratello di Vincenzo. Dopo la riuscita di un busto di Vincenzo Gioberti era stato inviato a Roma per lo studio della scultura grazie al sussidio di alcuni aristocratici bresciani. Il cardinale Angelo Mai, anch’egli bresciano, lo favorì nel consentirgli l’ingresso nello studio di Pietro Tenerani e contemporaneamente il giovane, dal 1851, frequentava l’Accademia di San Luca.
Dopo l’apprendistato aprì uno studio in proprio con il fratello Giovita, scultore animalista, in Via del Babuino, operando presto con successo per una clientela internazionale. Nella seconda metà del secolo Lombardi fu dunque uno dei numerosi artisti operanti nel cosmopolita ambiente romano, nell’ambito di una scuola che, dopo le fortunate vicende di Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, costituiva ancora il punto di riferimento per la formazione dei giovani scultori europei e che, animata da artisti di diversa provenienza, spagnoli, inglesi, tedeschi, americani, oltre naturalmente che italiani, garantiva tuttora e per tutto il secolo alla città il ruolo di principale centro della scultura in marmo, nonostante i destini dell’arte moderna si andassero compiendo ormai altrove e segnatamente a Parigi. Come un altro allievo lombardo di Tenerani operante a Roma, Giovanni Strazza, Lombardi mosse dalla lezione naturalista e purista del maestro abbracciando l’influenza del romanticismo in scultura come si andava definendo nell’opera di artisti attivi a Milano, tra i quali Vela e Pietro Magni. Il suo raffinato virtuosismo nel mestiere del taglio del marmo gli permise inoltre di assecondare l’interesse verista per la rappresentazione dei dettagli dei costumi, degli ornamenti o delle acconciature delle sue figure.
Tra i campi privilegiati della sua attività erano la scultura di registro monumentale e quella funeraria. L’opera principale del primo fu il Monumento alle Dieci Giornate del 1849 commissionato per Brescia da Vittorio Emanuele nel 1862, rappresentante la personificazione della città che depone la corona militare e civica sulla memoria dei caduti mentre quattro rilievi storici illustrano diversi episodi di quella difesa eroica. Tra le molte opere a destinazione funeraria, numerose destinate al Vantiniano della città natale, tra cui il Monumento al miniaturista Giambattista Gigola, il capolavoro, celebrato dai contemporanei per il commovente contenuto sentimentale espresso dalla rappresentazione di una giovane madre malata che abbraccia il proprio figlio e per l’accuratezza nella rappresentazione realistica dei dettagli delle vesti, fu il monumento alla moglie Emilia Filonardi, scomparsa prematuramente, eretto nel Cimitero del Verano a Roma nel 1875.
Il genere comunque privilegiato della sua produzione fu forse quello delle opere d’invenzione. Numerosi sono i soggetti ricordati dalle fonti e solo alcune di queste opere sono oggi note, destinate dall’autore a collezionisti italiani e stranieri, inglesi e americani: Debora, Susanna, Sulamite, Ruth, Cleopatra, Primavera, l’Arte serica, e poi i gruppi di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, della Figlia del Faraone con il fanciullo Mosè, della Rivelazione di Amore, di Zefiro che dà il volo ad Amore, della Fuga dalla distruzione di Pompei.
L’elenco, nella preminenza dei soggetti biblici e storici, testimonia emblematicamente il tramonto anche a Roma della fortuna dell’universo mitologico, che, a differenza della pittura dove si era precocemente affermato il Romanticismo storico, aveva per la scultura costituito per molti decenni un repertorio continuamente riattualizzato e dotato di significato per il pubblico contemporaneo.
In particolare i soggetti legati alle figure bibliche femminili, come questa della profetessa Debora, prima donna dei Giudici, guida di Israele dopo la conquista di Canaan, consentivano ancora alla scultura la giustificazione per la rappresentazione di figure piacevoli per l’accattivante bellezza per di più venata di esotismo, nobilitando agli occhi del pubblico del tempo la rappresentazione attraverso l’espressione di un contenuto morale e allegorico.
L’atteggiamento enfaticamente oratorio di Debora denota la decisione del suo carattere e le sue qualità morali. Contemporaneamente la figura esprime una bellezza scelta e orientale, lasciando trasparire il nudo da pesanti vesti rese nella loro consistenza e spessore dall’abilità esecutiva, impiegata anche nei dettagli dell’acconciatura e degli ornamenti.
Un altro esemplare della scultura, di dimensioni al naturale e datata 1875 si trova nell’University of Virginia Art Museum, Richmond. Una copia, dovuta allo scultore neozelandese Charles Francis Summers si trova, con altri lavori dell’artista eseguiti a Roma a partire dal 1878, tra cui altre copie da Giovanni Maria Benzoni e dallo stesso Lombardi, nel Museo di Rotorua, in Nuova Zelanda.