Dopo l’arrivo a Roma, nel 1781, Landi diveniva rapidamente uno dei protagonisti della pittura neoclassica italiana facendo proprie le istanze per un’arte riformata – elevata nei contenuti storici e letterari e scelta nlla forma, in grado di superare l’artificio barocco in favore della semplicità e dei canoni ideali classici – che il dibattito artistico e culturale allora in atto nella città pontificia aveva saputo suggerire, condizionando anche le scelte del più grande tra gli artisti contemporanei, Antonio Canova, che qui si trasferiva in quello stesso anno.
Dopo un breve periodo di alunnato presso Pompeo Batoni e Domenico Corvi, artista dal quale doveva ereditare l’idea di una disciplina pittorica pari per dignità alle arti liberali perché fondata su solidi fondamenti teorici e pratici, Landi doveva riflettere sugli scritti di Anton Raphael Mengs, che avevano indicato nello studio dei grandi maestri del Cinquecento, Raffello, Correggio, Tiziano, oltre che dell’antico, la via per giungere all’eccellenza nell’arte della pittura e nelle sue singole componenti, come il disegno, il colore, l’espressione.
Assecondando la sua particolare vena, Landi aveva approfondito soprattutto la lezione dei maestri veneti nell’uso del colore, riscoprendo tra l’altro le raffinate risorse, sul piano delle trasparenze e della brillantezza delle tinte, della tecnica antica della velatura. Gli esiti delle sue ricerche dovevano imporlo ben presto, nell’opinione dei contemporanei, come uno dei massimi coloristi viventi, complementare all’altro protagonista della scena artistica romana, l’amico e rivale Vincenzo Camuccini, che al contrario aveva visto nella riaffermazione del primato del disegno, legato alla tradizione figurativa delle scuole toscana e romana, lo strumento ideale per la rappresentazione di scene eroiche tratte dalla storia e dalla letteratura antiche.
Il confronto e l’antitesi con Camuccini non si esaurivano sul piano formale, perché anche in Landi il privilegio assegnato alle possibilità espressive offerte dal colore corrispondeva a precise scelte tematiche, consentendogli l’esaltazione dei contenuti sentimentali dei soggetti prediletti nei campi del grazioso e dell’elegiaco. Proprio l’affinità nei temi avvicinava la pittura di Landi alla scultura dell’amico Canova, un modello che il pittore si era prefisso consapevolmente di emulare non solo per espressione sentimentale ma anche per naturalezza.
Rivelavano chiaramente questi aspetti del confronto tra Camuccini e Landi, centrali nel dibattito artistico del tempo, alcuni incarichi che essi ricevevano contenporaneamente, come quello per dipinti storici richiesti dal principe romano Pietro Gabrielli, dove al registro eroico del Pompeo chiamato alla difesa della patria del primo era contrapposto il sentimento patetico della Morte di Camilla, o quello per i due vasti teleri di soggetto sacro destinati alla chiesa piacentina di San Giovanni in Canale, risolti in chiave di solenne compostezza raffaellesca da Camuccini (Presentazione al Tempio) e di drammaticità concitata, affidata a una varietà di espressioni che ai contemporanei rievocava il modello leonardesco, da Landi (Salita al Calvario, 1804 – 1809).
Accanto alla pittura di soggetto storico o religioso il pittore piacentino aveva coltivato fin dagli esordi e con successo anche il genere della ritrattistica, affermandosi come uno dei protagonisti in questo campo ed entrando in qualche modo in competizione con la più anziana ed affermata specialista del settore Angelica Kauffmann.
Proprio questa sua abilità aveva favorito la chiamata come ritrattista a Milano nel 1791, dove si tratteneva fino all’anno seguente, presso la corte del munifico protettore delle arti Alberico Barbiano di Belgiojoso. Le opere eseguite per l’illustre committente non sono ancora state rintracciate, ma la descrizione che ne danno le fonti del tempo consentono di verificare come l’artista praticasse oltre alla tipologia del ritratto contemporaneo anche quella del ritratto allegorico. Un membro del casato era infatti rappresentato sotto le sembianze eternatrici della divinità della primavera Flora.
Proprio al genere del ritratto allegorizzato all’antica appartiene anche questo straordinario esempio della ritrattistica landiana, rappresentante una figura femminile sedente sullo sfondo di un paesaggio. Che ci si trovi di fronte a un ritratto e non a una figura astratta lo indica la caratterizzazione, pur attenuata dal filtro dell’idealizzazione, dei tratti del volto come dalle proporzioni anatomiche non canoniche. L’attributo della lira rivela in Lei una poetessa contemporanea, nobilitata attraverso la rappresentazione nelle vesti classiche di una Musa antica. Anche la posa in cui la figura è atteggiata rimanda alla tradizione figurativa classica, costituendo una variazione sul tema di quella della Cleopatra del Belvedere.
L’opera si inserisce nel filone dei ritratti settecenteschi di poetesse arcadi e l’iconografia allegorica è completata da un ameno paesaggio mediterraneo e dal tempio circolare sullo sfondo, il tradizionale Tempio della virtù e della gloria, meta ideale del letterato. Questi elementi si sono rivelati decisivi per proporre un’identificazione del personaggio effigiato da Landi, identificazione che appare risolta sulla base del confronto con alcuni ritratti contemporanei della celebre poetessa improvvisatrice Teresa Bandettini, accolta nell’Accademia di Arcadia con il nome pastorale di Aamarilli Etrusca.
La fisionomia della figura landiana è infatti molto vicina, nei tratti caratteristici del viso e del naso allungati, dell’arcata sopracciliare diritta e nell’acconciatura, con la frangia sulla fronte e i capelli mossi e lunghi ai lati, al ritratto della poetessa eseguito da Pietro Labruzzi nel 1974 (pubblicato da A. Busiri Vici, Scritti d’Arte, Roma 1990), dove ritorna una simile iconografia. Anche in quel caso la poetessa è rappresentata all’antica con la lira, nelle vesti di una Musa ispirata da un Cupido armato al suo fianco.
Ancora più stringente appare il confronto con il ritratto eseguito nello stesso anno da Angelica Kauffmann, testimoniato dall’incisione di Francesco Rosaspina, dove Teresa Bandettini è rappresentata “in atto gracioso di recitare, vestita con panni all’antica in guisa di Musa” (cit. in La “Memoria delle piture” di Angelica Kauffmann, a cura di Carlo Knight, Roma 1998, p.68). Il volto e l’acconciatura rappresentati dalla Kauffmann sembrano evocare in termini decisivi quelli della figura landiana, che costituisce dunque un contributo notevole alla prosopografia italiana tra Settecento e Ottocento.
Teresa Bandettini (Lucca 1763 – Lucca 1837), sposata Landucci, era stata infatti una delle più celebri figure letterarie femminili del tempo. Avviata inizialmente alla professione di danzatrice, durante i suoi viaggi nell’Italia settentrionale acquisì fama di ballerina letterata, fino a quando, dietro esortazione del marito, dal 1789 cominciò a esibirsi in pubblico come poetessa improvvisatrice. Tenne le sue accademie di improvvisazione in numerose città, entrando in contatto con i maggiori scrittori del tempo, da Pindemonte a Monti, da Parini ad Alfieri, a Bettinelli, che gli fu maestro e amico. Nel 1794 approdava a Roma dove riscuoteva un immediato successo, venendo accolta in Arcadia, dove veniva appeso nel Serbatoio il suo ritratto eseguito dalla Kauffmann, senza tuttavia ricevere l’onore dell’incoronazione in Campidoglio di cui aveva goduto prima di Lei un’altra improvvisatrice, Maddalena Moretti Fernandez, in Arcadia Corilla Olimpica, perché giudicata alla pari con il poeta Gagliuffi. Socia di numerose accademie, viveva il suo periodo di splendore negli anni 1795 – 1805, quando dava alle stampe alcuni poemi e le Rime estemporanee (Verona 1801), ritirandosi più tardi, stipendiata dal duca di Modena, nella nativa Lucca, da dove non cessava tuttavia di intervenire nel dibattito letterario italiano pubblicando nel 1831 il libello antiromantico Dicorso sulla poesia.
Fernando Mazzocca
Bibliografia
G.L. Mellini, Per Gaspare Landi, recapitolazione, in “Labyrinthos”, XIX 37/38 2000, pp. 65-120
S. Grandesso, La vicenda esemplare di un pittore “neoclassico”. Gaspare Landi, Canova e l’ambiente erudito romano, in “Roma moderna e contemporanea, a. X, 1-2 2002, a cura di L. Barroero e S. Susinno, pp. 179-203
S. Grandesso, Landi, Gaspare in Dizionario biografico degli italiani, Roma 2004, ad vocem
Gaspare Landi, a cura di V. Sgarbi, catalogo della mostra, Piacenza, Palazzo Galli, Milano 2004