
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LIBERO ANDREOTTI ROME, 1875-1933
Provenienza
Firenze, collezione privata
La Veneretta in bronzo qui presentata, una figura femminile nuda seduta su di un plinto che funge da basamento della scultura stessa, in parte coperta da un drappo trattenuto sulle gambe dalla mano destra, il braccio sinistro alzato, risulta a tutti gli effetti un inedito[1].
Di questo soggetto si conoscevano fino ad oggi due gessi alti cm 48, uno in cui la figura è completamente nuda ed uno drappeggiato sul quale è evidente la presenza dei punti utilizzati per la traduzione in scala (Gipsoteca Libero Andreotti, Pescia);[2] e una versione in marmo di maggiori dimensioni (h. cm 91), firmata e datata 1910-1920 (collezione privata, già collezione Eredi Andreotti, Firenze). Inoltre, una Veneretta del tutto affine a queste descritte appare in una fotografia dello studio parigino nella quale Andreotti viene ripreso al lavoro sulla creta della scultura appoggiata sul trespolo girevole. In questa versione, essa regge con il braccio sinistro alto sopra la testa un drappo che le scende al fianco (è priva di quello sulle gambe), mentre siede su di un plinto istoriato con una figura in bassorilievo[3].
L’apparizione sul mercato dell’esemplare qui considerato, che presenta sulla parte tergale del plinto una scritta evidentemente appartenente al modello in gesso con il nome dell’autore parzialmente leggibile [...]ndreo[...] e la data 1912, e in altra zona del plinto stesso la firma con la data “S[partaco] L[ibero] Andreotti 1916,induce a proporre una ipotesi che spiegherebbe la successione delle fasi della lavorazione delle varie redazioni in gesso, in marmo e di questo stesso bronzo. È plausibile affermare che la prima idea immaginata dallo scultore per la Veneretta sia quella documentata dalla fotografia poco sopra descritta: una figura di giovane donna nuda con un drappo trattenuto dalla mano sinistra alzata. Per quanto riguarda una sua datazione, il post quem viene indicato dalla presenza nella fotografia della creta del pannello di sinistra della Frise nuptiale,[4] un trittico in gesso esposto da Andreotti con grande clamore nell’aprile del 1912 al Salon della Société Nazionale des Beaux-Arts.
Venendo a considerare i due gessi di Pescia e mettendoli a confronto con la creta della fotografia, si vede come il braccio sinistro che in quest’ultima appariva alzato a reggere il panno, è ora abbassato e piegato sopra la testa della Veneretta. Del tutto identici fra di loro se non per la mancanza in uno di essi del drappeggio sulle gambe, i gessi indicano un ripensamento dello scultore sulla posa della figura documentata dalla fotografia parigina. Egli dapprima elimina la presenza del drappo e interviene sulla modellazione del plinto con veloci segni di polpastrello come dimostra il gesso inventariato con il numero AFCP: 71, g. 60; successivamente, integra la scultura con un nuovo drappo appoggiandolo sulle gambe della figura senza apportare ulteriori modifiche alla composizione come si vede nel gesso inventariato AFCP: 72, g. 60 bis. Quest’ultima redazione è servita da modello sia per la fusione del bronzo qui presentato, realizzata successivamente, come indica la data, nel 1916, dopo il rientro in Italia dello scultore; sia, vista la presenza dei punti, per la traduzione in scala maggiore della versione in marmo. Si spiega, in tal modo, anche la doppia data “1910-1920” apposta sul parte tergale del plinto della Veneretta in marmo: un’opera la cui concezione e prima modellazione risalgono al soggiorno parigino (1910), ripresa e realizzata in marmo in terra toscana nel 1920, nel momento in cui più viva fu per Andreotti la suggestione degli antichi maestri ritrovati dopo i soggiorni milanese e parigino.
Lasciata Milano e il progetto di ‘divisionismo totale’ del mercante Alberto Grubicy che ormai non coincideva più con le nuove aspirazioni stilistiche dello scultore dirette verso una ricerca plastica maggiormente allargata e semplificata, Andreotti si stabilisce nella capitale francese nell'ottobre del 1909. La città così turbinosa da far perdere la testa, lo aveva già lusingato procurandogli una certa notorietà quando vi aveva esposto nel ‘07 e nell‘08, ancora legato a Grubicy. In quelle occasioni, Gabriel Mourey e Vittorio Pica avevano mostrato interesse per il suo lavoro, né certo il trasferimento parigino avrebbe fatto mancare al giovane artista il loro sostegno critico. E poi, il suo repertorio di sofisticate donne-levriero, un po' fragili un po' bizzarre, si adattava al gusto estetizzante di un personaggio conosciuto a Milano, il grande couturier di Rue de la Paix, collezionista e protettore di artisti Jean-Philippe Worth che lo invitava a partire con l'attraente prospettiva di introdurlo nel mondo più esclusivo e chic della città. In quel clima di tentativi audaci e folli, gli stimoli che Parigi offriva erano i più diversi ed eterogenei. Gli estenuati simbolismi dei dandy fine secolo, lo stile passionale di Rodin, la sensualità nuova e temperata di Maillol, il vitalismo eroico di Bourdelle convivevano con le rivoluzionarie esperienze plastiche e le astrazioni di Archipenko, Zadkine o Brancusi.
Già dopo pochi mesi dal suo arrivo, Andreotti sembra muoversi con disinvoltura ed agio nel nuovo mondo. Nell'aprile del 1911, al Salon de la Société Nationale des Beaux-Arts, lo scultore ottiene grandi consensi con il Miracle. Poco dopo, nella seconda metà di aprile del 1911, si apriva una sua mostra personale presso la galleria Bernheim-Jeune. Con quell'esposizione, ampiamente recensita su riviste e giornali, Andreotti confermava tutte le promesse del suo debutto. Dal 1911, infatti, il suo nome comincia ad essere ricordato non solo nei resoconti delle mostre alle quali presenta opere sue, ma anche nelle cronache dei tanti avvenimenti che arricchivano gli incontri nei salotti, nei teatri, nei caffè della capitale francese. Dalla giovinezza in Toscana con la prima produzione di piccole tanagre moderne graziose e provocatorie, Andreotti appare soprattutto attratto dalle figure femminili, iniziate a modellare arrivato a Parigi: all’inizio del suo soggiorno esegue donne d'aujourd'hui, catturate nelle loro attitudini quotidiane, vestite alla moda, i cui corpi rivelano forme ardite e snelle, amazzoni che si muovono con la grazia agile e leggera di Diane antiche, Maddalene che nel manto che le avviluppa si piegano al dolore tendendo le braccia, giovinette che evocano la freschezza dell'adolescenza, madri che portano sul dorso il peso-responsabilità di un figlio. Vale la pena di citare un ricordo di Enrico Sacchetti arrivato nel 1911 a Parigi dall’amico Andreotti che descrive La ragazza che si tuffa,[5] una figura terzina la cui somiglianza con la Veneretta è tanto evidente negli occhi allungati e nell’acconciatura dei capelli attrecciati da ipotizzare che per entrambe le sculture possa aver posato la medesima modella:
“Quel che m’aveva subito colpito e lietamente sorpreso era la castità della figura; una castità premeditata e volontariamente opposta alla sensualità diffusa in tutte le altre opere. Ma anche la stabilità sicura, il giusto peso –il peso di un organismo vivo- il contrappunto ragionatissimo dei volumi, l’evidente rinuncia a qualsiasi artificio extra-sculturale erano tutte cose nove all’arte del mio amico”.[6]
Dopo la mostra dell‘11 da Bernheim-Jeune, infatti, la ricerca plastica andreottiana comincia a cambiare. Nelle opere realizzate fra il ‘12 e il ‘13, le straordinarie danzatrici con i cembali, con la maschera di Medusa, con i grappoli d'uva, approda ad una saldezza placata nella quale il turgore della superficie, la sintesi arcaica dei volti dall'enigmatico sorriso, l'equilibrio tra espressione e stile sono memori delle riprese classico-arcaiche della scultura francese di quegli anni, soprattutto di Maillol e di Joseph Bernard.
Nell'estate del 1914, Andreotti abbandona Parigi a causa dello scoppio della guerra. «Les étrangers vont être expulsés de Paris dans très peu de jours. Fuyez au plus tôt croyez-moi mardi serait peut-être trop tard», gli raccomanda Jean-Philippe Worth, poco prima della battaglia della Marna. Furono quel consiglio, l'incertezza di quei giorni e l'avvicendarsi veloce e incontrollabile degli eventi a vincere le ultime resistenze dello scultore. Andreotti partiva, e a Parigi non sarebbe più tornato.
Silvia Lucchesi, 25 Marzo 2008
[1] Questa versione bronzea non appare nei materiali a stampa dedicati allo scultore toscano durante la sua vita né successivamente, non compare menzione di essa nella documentazione privata e autografa conservata nell’Archivio Andreotti della Biblioteca Comunale di Pescia, né nell’inventario steso dalla moglie Margherita Carpi all’indomani della morte dello scultore conservato dagli eredi Andreotti a Firenze.
[2] inv. AFCP: 71, g.60; inv. AFCP: 72, g. 60 bis, cfr. Gipsoteca Libero Andreotti Pescia, a cura di Ornella Casazza, Firenze, Grafiche il Fiorino,1992, pp. 92-93 (illustrati, datati erroneamente 1919-20).
[3] Anche questa fotografia, come la versione in marmo della Veneretta, proveniente dall’archivio degli eredi fiorentini dello scultore, è oggi in collezione privata.
[4] La Frise nuptiale è conservata nella Gipsoteca Libero Andreotti di Pescia (inv. AFCP: 7°, g. 119; 7b, g. 119b; 7c, g. 119c), Gipsoteca Libero Andreotti Pescia, cit, pp. 107-110 (illustrato).
[5] Detta anche Fontana, il gesso è conservato nella Gipsoteca Andreotti di Pescia (inv: AFCP: 21, g. 8), cfr. Gipsoteca Libero Andreotti Pescia, cit, pp. 94-95 (illustrato).
[6] E. Sacchetti, Vita d’artista, Milano, Treves, 1935, p. 123.