![CARLO FINELLI, The Three Graces, 1833 c.](https://artlogic-res.cloudinary.com/w_1600,h_1600,c_limit,f_auto,fl_lossy,q_auto/ws-artlogicwebsite0395/usr/images/artworks/main_image/items/23/2349630f13b848ee8b4e113f0bda6b35/tre-grazie-profilo.jpg)
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CARLO FINELLI CARRARA 1782-ROME 1853
Altre immagini
Provenienza
Proprietà dell’artista fino al 1853; alla sua morte, Filippo Massani; alla sua morte, la figlia Anna Massani Camuccini e suo marito Giambattista Camuccini; da allora per discendenza nella famiglia Camuccini nella collezione del Barone Vincenzo Camuccini Cantalupo in Sabina, Palazzo Camuccini.
Mostre
Equilibrium, a cura di Stefania Ricci e Sergio Risaliti, Firenze Museo Salvatore Ferragamo, 19 Giugno 2014 - 12 Aprile 2015; DOPO CANOVA: Percorsi della scultura a Firenze e Roma, a cura di Sergej Androsov, Massimo Bertozzi e Ettore Spalletti, Palazzo Cucchiari, Carrara, 8 Luglio - 22 Ottobre 2017.
Di Carlo Finelli i biografi ottocenteschi ricordavano la tensione continua verso alti traguardi nell’arte plastica spesso tradotta nell’insofferenza e nel rigetto verso i risultati già acquisiti. Doveva trattarsi, fin dall’opera che ne aveva precocemente stabilita la fama, ovvero il fregio con Il Trionfo di Giulio Cesare che nel 1812 lo scultore era stato chiamato a modellare per gli appartamenti napoleonici del Quirinale, anche della ricerca di una via formale propria e indipendente rispetto a quelle dettate dalle opere già ritenute classiche dei due protagonisti della scultura del tempo, Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen. Pur contemplando rimandi formali e iconografici ai due illustri contemporanei e più eccentrici riferimenti alla scultura cinquecentesca, in particolare al Giambologna (Musetti 2001, p.154; Id. 2002, pp. 26 e ss.), questa ricerca doveva assestarsi, secondo il biografo Giuseppe Checchetelli, in un’eclettica sintesi, in grado di contemperare l’ideale classico della forma e “la purezza di pensiero e di sentimento” che i puristi rinvenivano nei primitivi del Tre e del Quattrocento (Checchetelli 1854, p.13). La sua incontentabilità nella verifica del divario tra aspirazioni e realizzazioni aveva però caratterizzato episodi come la distruzione nel 1844 del Marte, già donato all’Accademia di Belle Arti di Firenze e riavuto nel 1836 col pretesto di ritoccarlo, assieme a bozzetti e altri marmi come due Veneri e un Paride, o la circostanza della disposizione testamentaria che impose dopo la sua morte la distruzione di tutti i modelli in gesso conservati nello studio, a eccezione delle Ore danzanti e del San Michele Arcangelo che sconfigge Lucifero, destinati all’Accademia di Belle Arti di Carrara, evidentemente gli unici considerati veramente rappresentativi dei due generi mitologico e “cristiano”.
Se questi fatti confermarono presso i contemporanei l’incostanza e la bizzarria della personalità di Finelli, contemporaneamente ne alimentarono il mito di artista di genio e indipendente - anche dalla committenza nella scelta dei soggetti, come sottolineava Campori (Campori 1873, p.100) - degno del paragone con Michelangelo, l’artista “sublime” per eccellenza.
L’accostamento venne evocato soprattutto a proposito del gruppo delle Tre Grazie, emblematico dell’intera sua vicenda artistica. Dopo aver terminato nel 1824 il marmo delle Ore danzanti per il grande mecenate russo Nikolaj Demidov (San Pietroburgo, Ermitage, cfr.Androsov, Musetti, in Roma 2003, p.394), lo scultore con le Grazie era tornato sul motivo di tre figure femminili di età giovanile, cimentandosi direttamente con il soggetto che nei gruppi di Canova e Thorvaldsen aveva trovato la formulazione esemplare di due opposte concezioni del “genere grazioso”. Dopo una prima versione, distrutta dall’autore, un secondo modello delle Grazie fu eliminato nel 1833. Finelli dunque decise di scolpire l’opera direttamente nel marmo, “alla prima” cioè, senza l’ausilio di un modello in gesso di riferimento, secondo una prassi eccezionale per i tempi e che per l’ardire, non ammettendo errori o pentimenti, immediatamente evocava la tecnica michelangiolesca.
Finelli tuttavia non terminò mai l’opera, che tenne sempre celata ai visitatori dello studio e conobbe solo una fortuna postuma. Attraverso Anna Massani, figlia di Filippo, nominato erede dello scultore (Checchetelli 1854, p.31), e seconda moglie di Giambattista Camuccini, figlio di Vincenzo, passò in seguito nella collezione di Cantalupo assieme alla Ebe (Mazzocca, in Milano 2001, pp. 16 – 20; Musetti 2002, pp. 134) e a una replica dell’Amore che tormenta l’anima simboleggiata da una farfalla (Ibidem, pp. 104 e ss.), suggellando emblematicamente in quella collocazione gli stretti rapporti di amicizia che avevano legato Finelli e Vincenzo Camuccini.
Il non finito delle Tre Grazie costituisce un caso unico nella scultura del tempo. Oltre alle estremità, mani e piedi, in parte solo sbozzati, l’intera superficie delle tre figure attendeva un ulteriore processo di rifinitura. Probabilmente sia la vicenda dell’esecuzione, che l’assenza di un modello di riferimento, consigliarono a eredi e allievi dello studio di non ultimare l’opera come invece avveniva comunemente in questi casi. Univoche testimonianze consentono di verificare come proprio la qualità di non finito potesse accrescerne la suggesione presso i contemporanei. Secondo Checchetelli l’opera per “finitezza di stile” era “la più perfetta” di Finelli:
“E, a vero dire, questo gruppo è tal cosa che incanta, né saprei giudicare se quelle estremità non finite tolgano più che non aggiungano a quel velo di magia che tutto involge questo lavoro. Vedi le tre donzelle intrecciar leggiadre le braccia senza darsi studio della persona, perché la grazia non ha vezzi fittizi; contempli que’ volti ingenui, quella trasparente serenità di pensiero, ed a buon diritto esclami, senza d’esse niuna cosa, neppur la bellezza aver pregio nel mondo!” (Checchetelli, p.28).
Svelte forme giovanili, osservate sul vero dei modelli viventi, erano state riunite in composizione guardando alle pose di celebri statue classiche, richiamate soprattutto dalle figure laterali. Quella di destra rispetto all’osservatore riprende in controparte la posa dell’Apollo con la cetra (Roma, Musei Capitolini), con il motivo delle gambe incrociate e la disposizione simile di braccia e tronco proteso di lato.
Dalla parte opposta è esemplata la posa del prototipo prassitelico del Fauno in riposo (Ivi) compreso il braccio appoggiato sul fianco. La leggiadria delle movenze e la delicatezza delle estremità superiori evocano Canova. Una sorta di “dignità” generale si discosta però da quel modello come dalla severità thorvaldseniana, costituendo piuttosto l’ideale caratteristico di Finelli, che sapeva interpretare nobiltà e stile “grande” anche nelle opere “di piacevole soggetto”, attingendo ovunque al “carattere monumentale” come osservava Leoni (Leoni 1853, p.230).
Nelle Ore danzanti,“così lievi che giunte appena s’involano”,la gentilezza delle movenze rifuggiva ogni leziosità grazie anche all’allegoria “filosofica” che aveva nutrito di intensità psicologica i volti delle personificazioni dei momenti del giorno, “quella lietissima guardando in quella di mezzo men vivace ed ardita, la quale tende la mano alla terza il cui volto s’adombra di quieta tristezza”, simboleggiando la prima l’allegro mattino e l’ultima, rivolta altrove, “la melanconia della sera” (Checchetelli 1854, p.17).
Anche in questo secondo gruppo marmoreo la riflessiva nobiltà delle figure esprimeva con gli attributi il contenuto sapienziale del tema delle Grazie civilizzatrici dell’uomo attraverso la poesia (la cetra) e apportatrici di fecondi benefici alla natura:
“E nell’osservarle una coronata di fiori l’altra di spiche la terza di pampini ti persuadi che le grazie sono esse della natura, le quali allietano del lor riso l’uomo e la terra; che guidano sovressa bella di fiori la primavera, di messe la state, di uve l’autunno.” (Ibidem, p.29).
Stefano Grandesso
Riferimenti bibliografici citati:
Campori 1873: Giuseppe Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori, ec. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa con cenni relativi agli artisti italiani ed esteri che in essa dimorarono ed operarono e un saggio bibliografico, Modena 1873.
Checchetelli 1854: Giuseppe Checchetelli, Carlo Finelli e le sue sculture. Cenni di G.C., Roma 1854.
Leoni 1853: Q.Leoni, Finelli, in “Album”, A.XX 1853, d.31, pp.229-232.
Milano 2001: Due dipinti di Pompeo Girolamo Batoni. Una scultura di Carlo Finelli, Galleria Carlo Orsi, Milano 2001.
Musetti 2001: Barbara Musetti, L’eredità della scultura classica nell’opera di Carlo Finelli (1782-1853), in “Studi di Storia dell’Arte”, 12 2001, pp.153-169.
Musetti 2002: Barbara Musetti, Carlo Finelli (1782-1853), Cinisello Balsamo 2002.
Roma 2003: Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia. Universale ed Eterna. Capitale delle Arti, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 7 marzo – 29 giugno 2003), progetto di Stefano Susinno, realizzazione di Sandra Pinto con Liliana Barroero e Fernando Mazzocca, Milano 2003.
Roma 2015: Equilibrium, a cura di Stefania Ricci e Sergio Risaliti, Firenze Museo Salvatore Ferragamo, 19 Giugno 2014 - 12 Aprile 2015, pag. 114.
Carrara 2017: DOPO CANOVA: Percorsi della scultura a Firenze e Roma, Palazzo Cucchiari, Carrara, 8 Luglio - 22 Ottobre 2017, pag. 148, 150.