Dopo 200 anni riemerge il capolavoro di Vincenzo Camuccini, l'Horatius Cocles, commissionato da Manuel Godoy nel 1813
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VINCENZO CAMUCCINI ROME, 1771-1844
200 x 270 x 15 cm (con la cornice)
Provenienza
Collezione Manuel Godoy; Londra, collezione privata; Dragør, collezione Sadolin
DOPO 200 ANNI RIEMERGE IL CAPOLAVORO DI VINCENZO CAMUCCINI, L’ORAZIO COCLITE, COMMISSIONATO DA MANUEL GODOY NEL 1813
L’Orazio Coclite, uno dei dipinti più importanti e rappresentativi del pittore neoclassico Vincenzo Camuccini (Roma, 1771-1844), era noto finora soltanto grazie alle fonti documentarie, ad alcuni materiali preparatori e alla traduzione in incisione; dell’opera, infatti, si erano perse le tracce pochi anni dopo il suo completamento, nel 1815. Il dipinto riemerge ora dall’oblio dopo essere rimasto per quasi tutto il Novecento in una collezione privata danese, senza che si fosse riconosciuto nel pittore romano l’autore dell’opera, né si fosse collegata la sua genesi a un committente d’eccezione, lo spagnolo Manuel Godoy, principe della Pace.
L’Orazio Coclite fu infatti dipinto a Roma, tra il 1813 e il 1815, mentre Godoy, già potente primo ministro del re di Spagna Carlo IV di Borbone, era in esilio nella capitale pontificia, insieme al sovrano e alla sua corte, spodestata dal trono da Napoleone Bonaparte nel 1808. Abile politico, bulimico parvenu del potere, Godoy si era distinto in Spagna, prima della sua rovinosa caduta, anche per la voracità collezionistica. A Madrid aveva messo insieme una sterminata raccolta di oltre 1000 dipinti, comprendenti celeberrimi capolavori antichi come la Venere allo specchio di Velázquez o la Madonna d’Alba di Raffaello, ottenuti con mezzi non sempre limpidissimi, e opere contemporanee commissionate ai più importanti artisti del tempo, primo tra tutti Goya, che per Godoy dipinse diversi ritratti nonché le celebri Majas, desnuda e vestida.
Persi tutti i suoi beni con l’esilio del 1808, Godoy rimise insieme a Roma una nuova raccolta di opere d’arte, custodita nella nobile residenza acquistata nel 1813 sul Monte Celio, la celebre villa Mattei detta oggi Celimontana. Qui era esposto anche l’Orazio Coclite di Camuccini, che rappresenta senza dubbio la più significativa delle non poche opere di artisti contemporanei commissionate da Godoy a Roma. Camuccini era infatti a quel tempo l’astro pressoché indiscusso della pittura contemporanea nella capitale pontifica, una città che ancora nei primi decenni dell’Ottocento deteneva un ruolo decisivo negli snodi artistici della cultura europea, fondata sulla condivisa e fertile radice della classicità. Il passato classico della Roma antica, consolidato dalla eccezionale stagione artistica del Rinascimento, faceva a quel tempo di Roma un formidabile polo di attrazione per la comunità artistica internazionale e per i collezionisti di tutta Europa. Camuccini rappresentava agli occhi dei contemporanei l’erede più degno di quella nobile tradizione. Le sue opere con soggetti storici, gran parte delle quali hanno per protagonisti virtuosi personaggi dalla storia romana, come Orazio Coclite, adottavano lo stile moderno messo a punto in Francia da David e dai suoi seguaci come Drouais o Suvée, ma tributavano anche un esplicito, colto omaggio alla statuaria antica e soprattutto alla tradizione rinascimentale, in particolare a Raffaello. È proprio questo artista, profondamente assimilato da Camuccini negli anni della formazione e sempre venerato, a costituire il modello per molti dettagli dell’Orazio Coclite, chiaramente ispirato alla Battaglia di Costantino, ultimo degli affreschi dell’urbinate nella Stanze Vaticane. Il modello raffaellesco è trasfigurato nel linguaggio retorico e severo caratteristico di Camuccini, fondato sulla perfezione del disegno, sulla bilanciata distribuzione delle figure, sulla attenta raffigurazione delle espressioni e dei moti dell’animo, mezzi per il raggiungimento di quel sostenuto, colto classicismo che rimaneva il consapevole obiettivo di molta arte del tempo. Nell’Orazio trovano però posto anche brani di coinvolgimento emotivo e di inusuale sensualità, come la splendida figura del giovane etrusco riverso e morente nell’angolo inferiore destro del dipinto, segnale inequivocabile di quella sensibilità già romantica che, proprio in questi anni, alimenta di una linfa tutta nuova la creatività degli artisti europei e giunge a fare breccia anche nella roccaforte della classicità romana, di cui Camuccini costituisce senza dubbio uno dei maggiori esponenti.
- Federica Giacomini
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VINCENZO CAMUCCINILa partenza di Attilio Regolo, c. 1802
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VINCENZO CAMUCCINIAppio Claudio. Bozzetto per la parte sinistra della 'Morte di Virginia', c. 1802
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VINCENZO CAMUCCINIDisegno miologico. Avambraccio e mano
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VINCENZO CAMUCCINIDisegno miologico. Zona dorsale, spalla, braccio, avambraccio e mano
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VINCENZO CAMUCCINIRitratto del miniaturista August Grahl, 1828 c.