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SILVIO CANEVARI VITERBO 1893 -ROME 1932
Mostre
II Mostra Internazionale delle Arti Decorative, Monza 1925
XCII Esposizioni della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, Roma 1926
III Mostra del Sindacato Fascista delle Belle Arti di Roma e del Lazio, Roma 1932 (come Medusa)
Bibliografia
Salvatore Di Giacomo, Vincenzo Gemito. La vita e l’opera, Minozzi, Napoli 1905.
Marina Miraglia, Giorgio Sommer. Un tedesco in Italia in Un viaggio fra Mito e Realtà. Giorgio Sommer fotografo in Italia 1857-1891, catalogo della mostra a cura di M. Miraglia, U. Pohlman, Roma, Palazzo Braschi 5 dicembre 1992-10 gennaio 1993, Edizioni Carte Segrete 1992, pp. 28-29.
Gianna Piantoni, scheda de l’Acquaiolo di Vincenzo Gemito, in Italie 1880-1910. Arte alla prova della modernità, catalogo della mostra a cura di G. Piantoni, A. Pingeot, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 22 dicembre 2000-11 marzo 2001; Parigi, Musée d’Orsay, 9 aprile 2001-15 luglio 2001; Umberto Allemandi & C., Torino 2000, pp. 103-104.
Maria Antonietta De Marinis, Gemito. Una rivoluzione in scultura, in Da De Nittis a Gemito. I napoletani a Parigi negli anni dell’Impressionismo, catalogo della mostra a cura di L. Martorelli, F. Mazzocca, Napoli, Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos Stigliano, 6 dicembre 2017-8 aprile 2018, Sagep, Genova 2017, pp. 168-169.
Bella testa di Medusa in gesso patinato color bronzo brunito e dorato che reca incisi sul retro della base il monogramma AS, una marca riconducibile allo scultore triestino Attilio Selva (Trieste 1888 – Roma 1971) e la firma per esteso Canevari.
Esposta la prima volta nel 1925, alla Seconda Mostra Internazionale delle Arti Decorative che si tenne nella Villa Reale di Monza tra maggio e ottobre. Si tratta probabilmente di una delle quattro teste di Gorgoni di Silvio Canevari sistemate ai quattro angoli della Sala del Mare - una sala ordinata dall’architetto Alessandro Limogelli, decorata anche da lunette di Aleardo Terzi, Dante Ricci, Antonino Calcagnadoro e da un bronzo di Ercole Drei – proposta l’anno successivo anche a Roma, in occasione dell’annuale Mostra della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti.
Potendosi scartare l’ipotesi di un’opera realizzata a quattro mani perché sin dal loro esordio le sculture - due delle quali si intravedono in una fotografia della sala del Mare, riprodotta nel catalogo della mostra e negli articoli coevi di Francesco Sapori e di Giovanni Mussio - vengono attribuite esclusivamente alla mano di Silvio Canevari, la presenza delle due firme sembrerebbe essere la testimonianza di un momento privato, frutto della condivisione di studi e di materiali.
Una condivisione confermata da alcuni documenti provenienti dall'Archivio Selva databili tra il 1928 e il 1932. Si tratta di una serie di ricevute di pagamento “a saldo dei lavori eseguiti”, relative alla realizzazione del bozzetto dei Pili portabandiera di Trieste, opera di Attilio Selva, e di non meglio specificate statue per “la scuola d’educazione”, ovvero del Foro Italico. Oltre a questi scarsi fogli, ne sono stati rinvenuti altri, recanti la scritta a matita: Serafina. Sono tenuti insieme da una graffetta di ferro che risalgono al 1932, a quando Canevari, prematuramente scomparso, lasciò in molto precarie condizioni economiche la giovane compagna Serafina Pisciarelli e i loro sette figli: Maria Antonietta, Carlo, Maria Agnese, Veniero, Sergio, Valentino, Maria Silvia, ed attestano come il triestino fosse tra i promotori di una colletta in favore della famiglia e della mostra postuma a Roma.