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Simon DENIS (Antwerp 1755-Naples 1813)
60 x 74 x 4 cm (con cornice)
Simon-Joseph-Alexandre-Clément Denis muove i primi passi nell’atelier del paesaggista e animalista Henri Joseph Antonissen (1737 – 1794) prima di stabilirsi a Parigi intorno al 1775 dove lavora per Jean-Baptiste-Pierre Le Brun (1748 – 1813), pittore e mercante di dipinti che finanzierà il suo viaggio in Italia nel 1786. In cambio, Denis s’impegnerà a reperire opere d’arte per il suo mentore[1]. Da quel momento in poi, l’artista non lascerà più la penisola. A Roma, sposa una giovane donna, Altomira Garavini, ed entra nell’entourage dell’eccentrico Lord Bristol, vescovo di Derry (1730 – 1803), e di William Hamilton (1731 – 1803), ambasciatore britannico a Napoli. È ormai un paesaggista rinomato, particolarmente legato all’ambiente francese e soprattutto a Elisabeth Vigée-Le Brun (1755 – 1842), moglie del suo ex mentore, nonchè a François-Guillume Mènageot (1744 – 1816) direttore dell’Accademia di Francia. Divenuto membro onorario della Accademia di San Luca nel 1803, gode di vasta notorietà nelle varie cerchie artistiche. Denis lascia la città eterna tra il 1801 e il 1803 per stabilirsi a Napoli dove risiederà fino alla morte avvenuta il 1gennaio del 1813. Nel 1807 Giuseppe Bonaparte lo nomina “primo pittore della commissione per le vedute e i paesaggi”, mentre nel 1809 ottiene la cattedra di paesaggio alla Accademia di Belle Arti.
Accanto ai lavori destinati alla clientela del Grand Tour o realizzati per soddisfare richieste reali o di privati, nella sua produzione figura anche un corpus di opere generalmente eseguite a olio su carta che esaltano la sua qualità di pittore en plein air. Questi studi, mostrati in occasione dell’esposizione “Paysages d’Italie”[2], rivelano una libertà di esecuzione e di prospettiva che rimandano agli studi di Pierre-Henri de Valenciennes (1750 – 1819) rientrato a Parigi nel 1785 e che quindi Denis potrebbe aver conosciuto prima della sua partenza per l’Italia del 1786.
L’eruzione del Vesuvio qui presentata, appartiene a quest’ultima categoria di opere ed è di notevole interesse non solo per le sue qualità estetiche ma anche per via del contesto nel quale fu realizzata. Essa raffigura il parossismo dell’eruzione del 1804, come evidenziato dalla data incisa direttamente nell’impasto della tecnica e posizionata all’estrema destra della composizione. Il vulcano è visto da sud, con gli edifici dell’Eremo dei Camaldoli della Torre alla sua destra sulla cima di una collina (Fig. 1).
Fig. 1: Eremo dei Camaldoli della Torre e il Vesuvio (Napoli)
Fig. 2: Pietro Fabris (attivo a Napoli tra il 1756 e il 1803), Villa Angelica, 1779?
Si tratta del panorama di cui si poteva godere nelle vicinanze di Villa Angelica (fig. 2), l’osservatorio già utilizzato tra il 1776 e il 1779 da sir William Hamilton per la stesura dei suoi Campi Phlegraei, uno dei testi fondatori della scienza vulcanologica. Nicola Filomarino, duca della Torre, anche lui presente in quei luoghi al momento dell’eruzione del 1804, ne fornisce una descrizione relativamente dettagliata[1]. L’Eruzione iniziò l’11 agosto. All’indomani, egli si recò sul territorio dei Camaldoli dove un filone di lava si era fermato, per misurarne la temperatura. Questa colata di lava potrebbe corrispondere esattamente, sul nostro dipinto, a quella ancora fumante che corre giù per la valle ai piedi del monastero. È appurato che Denis era solito utilizzare dei disegni, anch’essi “eseguiti en plein air”, che integrava nei suoi dipinti ad olio, ed è così probabilmente che ha preso vita la giovane contadina agitata visibile in primo piano sulla sinistra. L’attrazione magnetica esercitata da questa figura seppure minuscola funge da “contro-punto visivo”[2] alla mole della colonna “di uno spessore spaventoso” che si erge dal vulcano in eruzione, “lo spettacolo più terrificante e più magnifico che la Natura possa fornire”[3]. L’immagine rimanda a una estetica dell’eccesso e l’ombra creata dalla inutile corsa della contadina sottolinea la fugacità dell’esistenza umana e ci ricorda l’onnipotenza della Natura scatenata.
[1] Come attesta una raccolta di ventuno lettere di Le Brun datate tra il 1797 e il 1812, vendita Sotheby’s, Monaco, 18-19 giugno 1992, n. 201, citata da Nicole Garnier-Pelle, Chantilly, musée Condé, Peintures des XIXe et XXe siècles, Inventario delle collezioni pubbliche francesi, n.42, Parisi, 1997, p. 135
[2] A. Ottani Cavina, Paysage d’Italie, les peintres du plein air, 1780 – 1830, Parigi, Gallerie nazionali del Grand Palais (3 aprile – 9 luglio 2001), pp. 128-134
[3] Annales du Muséum d'histoire naturelle, Parigi, 1804, vol. 5, p.448-461
[4] A. Ottani Cavina, Op. cit. Orage dans la campagne romaine nota n° 82, p. 129
[5] H. Valenciennes, « Eruption d’un volcan », Éléments de perspective pratique à l’usage des artistes suivis De Reflexions et Conseils à un élève sur la Peinture, et particulièrement sur le genre du Paysage ..., Parigi, An VIII, p. 278