Caroline Garnon (1838-1900), nata Barbot, figlia dell'artista; Henriette Le Châtelier (1865-1934), nata Garnon, figlia della precedente; Georges Le Châtelier (1857-1935), marito della precedente; Caroline Bour (1883-1947), nata Leroux, nipote del precedente; per discendenza al precedente proprietario.
Prosper BARBOT
(Nantes 1798 - Chambellay 1878)
La figura dell’architetto e paesaggista francese Prosper Barbot rientra in quel gruppo di “esploratori” che, nella prima metà del XIX secolo, superarono il rigido percorso del “Grand Tour” settecentesco, cogliendo il più delle volte aspetti inediti del paesaggio meridionale italiano. Diplomatosi nella Section d’architecture dell’École des Beaux-Arts, intraprese un primo viaggio in Italia dal 1820 al 1822, in linea con la ben nota politica dell’École che prevedeva il completamento della formazione dell’architetto attraverso il viaggio di studio. Nel corso di tale esperienza, Barbot realizza un corpus di sei album, riuniti nel Voyage d’architecture, oggi custodito nel Département des Arts graphiques del Museo del Louvre di Parigi, al cui interno sono i disegni di numerosi monumenti e spazi urbani della penisola.[1]
Al suo ritorno nel luglio 1822, abbandona definitivamente l'architettura per dedicarsi alla pittura di paesaggio e alla pittura en plein air ed entra nello studio del pittore Louis-Etienne Watelet, maestro anche di Théodore Caruelle d'Aligny.
Intraprende un nuovo viaggio, prima in Svizzera poi torna in Italia nel 1826 accompagnato dall’amico Jules Coignet, paesaggista già affermato. Questo secondo viaggio in Italia è l'occasione per Barbot di riscoprire con occhi nuovi i luoghi visitati in passato come architetto (Fig. 1). In questi nuovi lavori, il modo di raccontare i posti visitati appare del tutto mutato. Influenzato probabilmente dai numerosi artisti en plein air e dalla nuova conoscenza del pittore paesaggista a lui contemporaneo Camille Corot.
Fig. 1 - P. Barbot, Les Promeneurs
Nantes, Museo delle Arti.
I taccuini dell'artista ci permettono di conoscere con estrema precisione il suo dispiegarsi: ritorna nei luoghi del primo viaggio per poi spostarsi a sud: Costiera amalfitana, Calabria e in Sicilia. Dopo alcuni mesi i due rientrano a Roma per trascorrervi l'inverno e buona parte della primavera.
Possiamo affermare con buona probabilità che è ora che Barbot dipinge la nostra palma, probabilmente "l'unica" o meglio una delle "uniche" palme di Roma, di cui il museo di Angers conservava una copia distrutta durante la seconda guerra[2].
Le palme erano infatti relativamente rare a Roma all'inizio del XIX secolo, la maggior parte cresceva nei chiostri, come quelli nelle chiese di San Bonaventura al Palatino, San Francesco a Ripa, San Pietro in Vincoli o anche San Giovanni e Paolo, "la bella palma di cui Roma si vanta” per usare le parole di Madame de Staël nel suo romanzo Corinne, ou l'Italie (1807). Villa Malta aveva anche una famosa palma regalata da Goethe a un suo amico.
Qui l’artista sviluppa una particolare tavolozza dai toni raffinati, delle tinte profonde del bruno e marrone. Qui ancor più che altrove si sente l’influenza della pittura di Corot.
Va anche notato che il taglio fotografico della sua inquadratura rende il dipinto incredibilmente contemporaneo, quasi minimale, avvicinandolo alle iconiche opere di Thomas Jones (Fig. 2). L’intonaco a macchie della stretta porzione di edificio in basso, le tegole scrostate, rendono l’opera non convenzionale, anti monumentale.
È interessante notare che come Thomas Jones a Napoli ritrasse non le solite “vedute” del Vesuvio e del golfo, bensì la città dei muri e delle pietre; Barbot a Roma non ritrae uno scorcio del Colosseo o una veduta con complesse strutture architettoniche di una Roma antica o rinascimentale, ma una palma, un dettaglio che attrae la sua attenzione per il forte carattere esotico.
Dopo tre anni trascorsi in Italia, Barbot lascia definitivamente Roma l'8 agosto 1828. Lo ritroviamo il 26 agosto a Parigi dove allestisce il suo studio. Espone regolarmente al Salon negli anni successivi fino al 1840, data che segna il suo allontanamento dalla scena artistica.
Fig. 2 - Thomas Jones (1742- 1803), Muro a Napoli, 1782
[1]Il sud Italia: Schizzi e appunti di viaggio. L’interpretazione dell’immagine, la ricerca di una identità, edited by Bruno Mussari, Giuseppina Scamardì
[2] Inv. MBA 1029. Oil (support unknown), 0.55 x 0.45 cm