K.R. Lepsius, Briefe aus Aegypten Aethiopien der Handlung des Sinai, Berlino 1852
Artista paesaggista svizzero, nato a Basilea, studia principalmente in Italia. Fermatosi a Monaco e a Parigi, giunto a Roma tra il 1835 e il 1838, Frey vi si stabilisce fino alla morte, studiando prima a palazzo Venezia sede in quegli anni dell’accademia austriaca, poi in via S. Isidoro già luogo di residenza degli artisti nazareni.
L’occasione di imbarcarsi per una missione archeologica in Egitto ed Etiopia, sotto la direzione dell’amico archeologo Karl Richard Lepsius, gli giunge dal cavalier Bunsen, console prussiano presso la Santa Sede e a sua volta archeologo, che lo arruola al fine di documentarne graficamente luoghi e ritrovamenti. Per problemi di salute il pittore svizzero fu costretto ad abbandonare il gruppo dopo solo qualche mese, il 14 agosto 1843, come testimonia lo stesso Lepsius in un resoconto della missione pubblicato circa dieci anni dopo (Lepsius 1852, p. 86).
L’esperienza in Egitto e gli studi di quei luoghi, sono per l’artista fonte di ispirazione anche negli anni successivi quando, nel nuovo studio a Capo le Case (Roma), Frey rielabora schizzi e disegni compiuti durante i suoi viaggi accreditandosi come orientalista, in controtendenza rispetto ai pittori di paesaggio non italiani che riproponevano un repertorio iconografico mediterraneo.
Questa tela raffigura una veduta panoramica del complesso monumentale di Karnak – che con Luxor costituisce l’antica Tebe. Contraddistinta da una particolare minuzia descrittiva e da forte attenzione filologica, il dipinto descrive tutte le sezioni dell’affascinante sito archeologico dedicato al dio egizio Ammone: i maestosi viali popolati da sfingi – con teste di ariete, animale sacro alla divinità, o con teste di faraone – il grandioso portale di accesso alla città di Tolomeo III Evergete, il complesso di templi dedicati alla triade tebana (Amon-Ra, Mur e Khonsu) il lago sacro al dio Ammone sulla destra e perfino in fondo i due obelischi sacri.
La particolare modulazione della luce prescelta e il punto di vista allargato sul paesaggio si impongono sugli elementi architettonici rappresentati inducendo ad alcune considerazioni in ordine alla diretta conoscenza dei luoghi da parte del pittore. Secondo la testimonianza di Lepsius, infatti, la spedizione prussiana era giunta a Karnak solo nell’ottobre del 1843, ossia due mesi più tardi dell’abbandono di Frey. Pertanto è ipotizzabile concludere che il quadro fu composto sulla base dei dettagliati resoconti dell’amico archeologo, pubblicati al suo ritorno (cfr. Denkmaeler aus Aegypten und Aethiopien 1849) e delle vedute realizzate dagli altri artisti, tutti tedeschi, che avevano partecipato alla spedizione: Ernest (1818-1882) e Max (1823-1890) Weidenbach da Naumburg e anche Otto Georgi (1819-1874) da Lipsia che l’aveva sostituito al suo ritiro (cfr Lepsius 1853, pag 12). La necessità di un montaggio a posteriori di immagini desunte da racconti o da altre testimonianze visive può così spiegare la connotazione fortemente en plein air dell’opera, che per le stesse ragioni può esser datata ai primi anni del quinto decennio dell’Ottocento.
Come era prevedibile, il soggiorno in Egitto con le nuove dominanze di cromie, il tessuto dell’atmosfera e della luce, i cieli, le albe, i tramonti si imprimono sulla pupilla del pittore e lo traggono a nuove esperienze coloristiche che si saldano con il background maturato a Monaco e negli anni romani sulle orme del lascito dei più innovativi tra gli artisti di cultura tedesca fino a segnalarsi a pieno titolo tra i maestri della pittura di paesaggio.