IV Quadriennale d’Arte Nazionale, May – July 1943, Rome
Una donna araba, di schiena di tre quarti, volge il viso all’osservatore con posa sensuale. Una corona di fior le cinge il capo, due bracciali adornano il braccio sinistro, e, sullo sfondo nero, un drappo marrone brunastro a righe gialle le avvolge il corpo nudo, lasciando scoperta buona parte della schiena e un generoso seno, che fa maliziosamente capolino sotto il braccio sinistro. E’ questa la scena raffigurata ne La Sposa araba, un mirabile dipinto che Achille Funi espone nel 1943 alla “IV Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma”.
L’opera, sempre custodita in collezione privata, offre l’occasione per ripercorrere la carriera di uno degli artisti italiani più significativi del ‘900 italiano e di fermare l’attenzione sulla sua produzione degli anni’40, che presenta numerosi elementi di interesse e spunti di approfondimento.
Nato a Ferrara nel 1890, Virgilio Socrate Funi, che dal 1910 adottò il nome di Achille, si trasferì nel 1906 a Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove venne subito notato tanto che nel 1909 il suo quadro L'aratura, esposto alla Permanente nell'ambito del concorso per i premi dell'Accademia di Brera, ricevette l'attenzione di U. Boccioni, che ne scrisse in un articolo sulla mostra.
A Milano venne subito a contatto con il gruppo futurista, ma le istanze innovative del movimento d'avanguardia non turbarono la sua solida formazione classica e accademica. Le opere che eseguì negli anni Dieci dimostrano infatti la ricerca di una solidità di volumi nella ricerca di elaborazione di una personale forma di futurismo, che nella scomposizione delle forme e dei volumi si avvicina per certi versi al dinamismo di Boccioni. Fu proprio il Boccioni che riferendosi al Funi lo definì “uno dei maggiori campioni della pittura italiana d'avanguardia”[1].
Allo scoppio della Grande Guerra Funi venne arruolato nel battaglione Lombardo Volontari Ciclisti insieme a Boccioni, Marinetti, Sironi, Sant'Elia e Russolo, e rientrato a Milano, a guerra terminata, presentò, alla Grande esposizione nazionale futurista del 1919, ben dieci dipinti, tutti ancora in bilico nella soluzione formale tra classicismo e avanguardia, tra sintesi volumetrica e dinamismo.
L’anno successivo lo troviamo firmatario, insieme a Sironi, Russolo e Marinetti, del manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, ma sempre incline a percorrere una linea parallela al movimento, sempre legata alle radici classiche, e proprio sviluppando questo modus operandi, tra il 1920 e il 1923 Funi passò decisamente dalle istanze futuriste a modi nuovi di nuova solidità plastica, come testimoniamo Il bel cadavere (Milano, Galleria d'arte moderna, collezione Boschi), del 1919, o Ritratto della sorella (Ferrara, Galleria d'arte moderna) del 1921.
In quegli anni anche altri artisti dell'area milanese si orientavano verso una figurazione che riscoprisse la tradizione classica in un nuovo equilibrio compositivo, recuperando linee, forme e colore del rinascimento, lontana dalle istanze dell'avanguardia, preparando la poetica e la costituzione del gruppo Novecento, il grande movimento, che sorse in seguito alle riunioni che si svolsero presso la galleria Pesaro di Milano, alla presenza del gallerista Lino Pesaro, di Margherita Sarfatti, e degli artisti Funi, Bucci, Dudreville, Malerba, P. Marussig, Oppi, e Sironi.
Il gruppo si presentò con la mostra Sette pittori del Novecento italiano, inaugurata il 26 marzo 1923 alla galleria Pesaro, si definì meglio con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1924 in una sala unitaria dedicata ai "Sei pittori del Novecento", per poi presentarsi in maniera ufficiale alla prima Mostra del Novecento italiano, inaugurata il 14 febbraio 1926 nel palazzo della Permanente di Milano con opere di più di centodieci artisti.
Nel 1925 la Sarfatti, nella monografia sul Funi edita da Hoepli, riteneva che i caratteri di essenzialità e di grandezza del comporre che l’artista dimostrava, avrebbero potuto tradursi in efficaci soluzioni ad affresco, prefigurando la fortuna della sua successiva attività di decoratore murale. Proseguendo infatti in una produzione che introduceva temi classici anche all'interno dei paesaggi o delle composizioni moderne o mitologiche, Funi realizzò grandi opere e cicli ad affresco, in chiese e palazzi pubblici (chiesa del Cristo Re a Roma, 1934; sala della Consulta nel palazzo comunale di Ferrara, 1937; Banca nazionale del lavoro a Roma, 1937) e soprattutto in occasione delle grandi esposizioni, come la Triennale di Monza del 1930 o la Triennale di Milano del 1933, dove rappresentò I giochi atletici italiani, ispirati a soggetti classici nell'esaltazione di una fisicità mitica, e purtroppo cancellati al termine dell'Esposizione.
Numerose furono anche negli anni Trenta le occasioni espositive (Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma) dove presentò prevalentemente dipinti da cavalletto: particolarmente importante fu la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1932 con un'antologica di ventisette opere, tra le quali La donna coi pesci (o La figlia del pescatore), Adone morente e Publio Orazio uccide la sorella (Berlino, Staatliche Museen).
Nel 1939 divenne docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, incarico nel quale emerge “la capacità di Funi di formare personalità differenti, e non repliche di se stesso […] segno della sua efficacia di maestro”[2]. e in seguito ottenne che venisse istituita per lui una cattedra di affresco presso l'Accademia stessa, su sua esplicita richiesta al ministro Bottai.
Ed eccoci agli anni Quaranta, nei quali troviamo il Funi ancora impegnato in alcune importanti decorazioni parietali quali la realizzazione a Milano di uno degli affreschi per il palazzo di Giustizia, del mosaico per il soffitto della sede della Cariplo, e all’Università di Padova degli affreschi per la sala della facoltà di medicina e chirurgia.
La sposa Araba è probabilmente l’ultimo dipinto realizzato prima della sospensione per gli eventi bellici dell’attività didattica all’Accademia di Brera nel 1944, di cui Funi era divenuto direttore, e testimonia un linea stilistica di personale interpretazione di un classicismo, venato di accenti lirici e metafisici, che segna un momento molto alto della sua produzione e una summa di tutte le esperienze precedenti.
La figura della donna è la protagonista assoluta del dipinto riempiendo quasi completamente la superficie della tela, lo sfondo nero uniforme non fornisce nessuna collocazione ambientale. La modella “esotica” è arricchita da una corona di fiori dai toni vivaci, una collana, dei bracciali e orecchini la adornano. Il suo sguardo penetrante coinvolge l’osservatore, la veste drappeggiata la avvolge sinuosamente svelando il suo corpo seminudo e sensuale. Il panneggio realizzato in modo esemplare, si ispira ai grandi maestri del passato quali Tiziano e Raffaello. Si nota qui con evidente semplicità la rielaborazione personale e interpretativa dei temi classici, della pittura rinascimentale, come evidenziava già Margherita Sarfatti quando nel 1925, nella monografia. edita da Hoepli, considerava l'artista un raffinato interprete contemporaneo della grande tradizione classica e rinascimentale ferrarese.
Nel dopoguerra, e per tutti gli anni ’50 e ’60, Achille Funi verrà celebrato come un maestro, con numerose esposizioni personali in sedi istituzionali (Biennali di Venezia del 1952 e del 1960) e gallerie private. Le sue opere figurarono in importanti rassegne storiche sull'arte italiana della prima metà del secolo, quali testimonianza di un artista in grado di percorrere e testimoniare in maniera personale e di grande qualità tutte le correnti più significative della prima metà del Novecento.
Fino al 25 febbraio 2024 a Ferrara a palazzo dei Diamanti si terrà una importante retrospettiva sulle opere e la vita di Achille Funi: Achille Funi, un maestro del Novecento tra storia e mito, a cura di N. Colombo, S. Redaelli, C. Vorrasi.
Bibliografia generale:
U. Boccioni, Il pittore d'avanguardia Achille Funi, in Gli Avvenimenti, 9 apr. 1916; C. Carrà, Achille Funi, in L'Ambrosiano, 28 luglio 1925; M. Sarfatti, Achille Funi, Milano, Hoepli, 1925; G. Nicodemi, Achille Funi, in Emporium, LXXVIII (1933), pp. 2-19; G. De Chirico, Achille Funi, Milano 1940; O. Vergani, Achille Funi, Milano 1949; Achille Funi (catal.), a cura di R. De Grada, Milano 1973; R. Bossaglia, Il Novecento italiano. Storia, documenti, iconografia, con appendici di C. Gian Ferrari - M. Lorandi, Milano 1979, ad Indicem; M. Lorandi, in Il Novecento italiano 1923-1933 (catal.), a cura di R. Bossaglia, Milano 1983, pp. 319-326; S. Weber, Achille Funi e la pittura murale fra le due guerre, Firenze 1987; Achille Funi, itinerari di un affrescatore 1930-1943, a cura di C. Cazzaniga - F. Dangor - V. Mazzarella - I. Sacco, Roma 1988; A. F. (catal.), Milano 1992; N. Colombo, Achille Funi Catalogo ragionato, Milano 1996
[1] Le Muse, De Agostini, Novara, 1966, Vol. V pag.13
[2] Achille Funi. Un maestro a Brera, a cura di Elena Pontiggia, Libri Scheiwiller, 2023.